PERCHÈ NON POSSIAMO NON DIRCI LAICI.

L’argomento è sempre di scottante attualità viste anche le ripetute “sacre intemperanze” di Papa Francesco. Io non credo nel dio “iracondo e polimorfo” che ci propongono le varie religioni. Credo nella VITA e nei “miracoli” che essa quotidianamente ci offre. Come già disse qualcuno molto più autorevole di me…so di provenire da un mistero, so di vivere in un mistero e so che ritornerò in un mistero.
Aldo Rossi

Ripropongo questo articolo pubblicato da EUGENIO SCALFARI sul Quotidiano “La Repubblica” il 7 novembre 2004.

<< Da parecchio tempo avevo in animo di tornare su un tema che accompagna da molti anni i miei pensieri e i miei comportamenti politici e professionali. Il tema è quello del laicismo, del rapporto fra le credenze religiose e lo Stato, tra i diritti individuali e l’organizzazione di una società di uomini liberi. Questo gruppo di questioni sta all’origine della modernità occidentale e perfino dell’evoluzione delle Chiese cristiane. Se infatti il Cristianesimo ha saputo e potuto aggiornare costantemente la propria dottrina e i canoni interpretativi della realtà sociale senza rinchiudersi nelle bende del dogma, ciò è dovuto soprattutto al fatto della presenza dialettica del potere civile accanto a quello ecclesiastico, nella reciproca autonomia dell’uno e dell’altro, alle lotte che ne sono derivate e agli equilibri che di volta in volta ne sono scaturiti. Dal “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” alla guerra delle investiture sul finire dell’XI secolo, al lungo contrasto tra Impero e Papato che segnò il XIII e il XIV secolo fino alla nascita dell’Umanesimo, della libera scienza, della riforma, delle monarchie nazionali, del diritto civile accanto e al di sopra del canone ecclesiastico, questa è stata la storia dell’Occidente europeo. Esso ha toccato infine il suo culmine nell’epoca dei Lumi, dell’egemonia della ragione e della tolleranza, nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, nella guerra d’indipendenza americana e nella grande rivoluzione dell’Ottantanove incardinata nei principi tricolori di libertà eguaglianza e fraternità. Se fra le grandi religioni monoteistiche il cristianesimo è stato quello che più e meglio ha conservato e arricchito la sua dinamicità e se l’Occidente euro-americano ha prodotto il pensiero, la cultura e le istituzioni liberali e democratiche, l’elemento fondativo e il filo con il quale questo percorso è stato tessuto sta interamente in quella dialettica mai spenta tra lo Stato, le Chiese, gli individui. La compresenza degli Stati e delle Chiese ha consentito agli individui di essere attori sia all’interno delle Chiese sia all’interno degli Stati, impedendo alle prime di scivolare nella teocrazia e ai secondi di tracimare dall’assolutismo regio al totalitarismo, approdando infine alla democrazia repubblicana. Ecco perché il discorso sulle “radici” dell’Occidente è molto più complesso di quanto a prima vista non sembri e non può ridursi all’evangelizzazione dell’Europa post-romana da parte dei Cirillo, degli Isidoro, dei Metodio e di quanti vescovi testimoniarono il Vangelo e impartirono il battesimo ai celti, ai franchi, ai longobardi, ai goti. Certo la religione fu cemento comune in un’epoca che stava ancora traversando la profonda crisi dell’Impero Romano, delle sue istituzioni, del suo assetto economico e sociale. Ma quella religione sarebbe rimasta probabilmente semplice culto se non avesse potuto recuperare le tracce di Roma e di Bisanzio che avevano irradiato il “logo” mediterraneo e pontico con i rispettivi retroterra in tutti i quattro punti cardinali. La discussione storica è dunque aperta da tempo su queste questioni, ma essa ha registrato negli ultimi anni una trasformazione rapida e profonda. La sua natura storica ha ceduto il posto ad un’attualizzazione politica, ideologica e addirittura elettorale. Si è visto sorgere nel corso delle elezioni presidenziali americane, una sorta di “partito di Dio” nell’ambito della destra conservatrice, i teo-con accanto ai neo-con con alla testa lo stesso George W. Bush sempre più infervorato e pervaso da un ruolo quasi messianico che ha saldato la sua azione politica con i sentimenti di una vasta parte del popolo. L’analisi del voto effettuata dopo il 2 novembre è ormai univoca: Bush e i suoi strateghi elettorali hanno unito insieme la pulsione missionaria di chi assegna all’America il compito di portare nel mondo il modello americano della democrazia e del libero mercato con la pulsione altrettanto potente di chi vuole recuperare nella società la moralità tradizionale contro ogni deviazione. Ethics-con e teo-con uniti insieme presuppongono come punto di riferimento religioso, anzi ideologico, un barbuto e severo Dio degli eserciti, il Dio mosaico tonante dalle vette del Sinai, che ha molto più i tratti vetero-testamentari che non quelli del Figlio incarnato e ammantato di amore e misericordia. Non a caso le Chiese evangeliche mobilitate in occasione del 2 novembre hanno indicato il loro modello di riferimento nel “maschio bianco che ha il fucile in casa e che va ogni domenica in chiesa”. E’ l’immagine antica del pioniere alla conquista del West, con la pistola nella fondina e la Bibbia nella borsa, dei paesi delle grandi pianure e della lotta contro il popolo indiano, della giustizia amministrata direttamente sul posto con processi sommari e popolari, delle mandrie transumanti dagli allevamenti alle città. E dei predicatori che richiamano gli uomini al timore di un Dio tonitruante dall’alto dei cieli, che vuole il suo popolo armato nelle coscienze e nelle fondine purché obbediente ai suoi precetti morali. Bush è da dieci anni, prima ancora di diventare presidente degli Stati Uniti, uno dei punti di riferimento del movimento evangelico dei “rinati in Cristo”, spina dorsale del fondamentalismo e del messianesimo cristiano negli Stati americani del Midwest e del Sud. Un movimento che conta 60 milioni di aderenti reclutati tra le varie Chiese protestanti e spesso in competizione con le congregazioni originarie. Si poteva pensare che questo movimento non lambisse le comunità cattoliche, ma non è stato così. Nel complesso messaggio di Papa Wojtyla, ripartito tra la condanna della guerra, la critica al consumismo e al liberismo capitalistico e la morale sessuale puritanamente tradizionale, il grosso dei cattolici americani e del loro clero ha privilegiato quest’ultimo aspetto, trasformando anche la loro Chiesa sullo stesso piano del movimento evangelico, sia pure con toni e linguaggi più moderati. Questa è comunque l’America che ha vinto le elezioni del 2 novembre e Bush è l’uomo che la guida. E’ possibile che il suo secondo mandato si caratterizzi all’inizio con approcci più aperti verso un recupero di multilateralismo in politica estera perché l’America ha bisogno d’un momento di respiro sul teatro iracheno, soprattutto per quanto riguarda la compartecipazione europea ai costi finanziari della guerra. Ma la strategia complessiva non cambierà. La missione salvifica d’una America destinata ad esportare nel mondo i suoi modelli di riferimento economici, ideologici, istituzionali, servendosi tutte le volte che sia necessario del braccio militare e della superiorità tecnologica imponendo la sua legge a tutte le altre potenze, non cambierà per la semplice ragione che Bush è un uomo di fede e la missione storica che si è dato è quella di fare della sua America l’impero del Bene contro l’impero del Male, incarnato dal terrorismo islamico, dagli Stati canaglia ed anche dalla corruzione delle idee e dei costumi. “Dio non è neutrale”, ripete spesso nei suoi discorsi e messaggi al popolo americano. “Dio è con noi”. Un Dio crociato che risponde al nome di Cristo anche se ha poche attinenze con la predicazione di Gesù di Nazareth tramandata dagli evangelisti. C’è molto di Paolo in questa visione del cristianesimo combattente e molto anche del Giovanni apocalittico; molto meno di Agostino. Ma il vero discrimine è con il liberalismo laico dell’Occidente moderno, che ridiventa in questo contesto l’antemurale della ragione contro una fede che punta a fare della religione un elemento costitutivo della politica. In queste condizioni è che il fossato tra le due sponde dell’Atlantico è diventato dopo il 2 novembre molto più profondo. E’ del pari evidente che i valori dell’Occidente non sono più gli stessi tra l’America e l’Europa anche se la diplomazia dei governi continuerà a mantenere in piedi la sempre più tenue ipotesi, ispirata alla realpolitik d’una recuperata convergenza all’insegna della lotta contro il terrorismo da tutti ovviamente condivisa. Del resto, prima o poi, il problema d’un cristianesimo crociato si porrà – si è già posto – anche alla Chiesa cattolica e alla sua finora tenace avversione contro ogni guerra di religione e di civiltà. Certo, esiste anche un Europa che simpatizza con la follia teo-con e con i nuovi crociati, così come per fortuna esiste un’altra America che contrasta nettamente con quella di George Bush. Gli schieramenti su problemi così complessi sono sempre trasversali. Ma il dato nuovo è questo: dopo un breve periodo di caduta delle ideologie in favore d’un pragmatismo tutto politico, le ideologie tornano prepotentemente in campo. L’America imperiale ed evangelica ha chiaramente enunciato la propria. E l’Europa laica? I laici non hanno per definizione né papi né imperatori né re. Neppure vescovi, tantomeno vescovi-conti. Hanno come signore di sé stessi, la propria coscienza. Il senso della propria responsabilità. I principi della libertà eguaglianza e fraternità come punti cardinali di orientamento. Sulla base di quei princìpi il loro percorso si è intrecciato anche con il cristianesimo e con il socialismo. Con quest’ultimo sulla base d’una eguaglianza che in nessun caso può essere disgiunta dalla libertà vissuta come inalienabile diritto degli individui al di là d’ogni discriminazione di razza, di religione, di sesso. Con il cristianesimo sulla base, anch’essa, della non-discriminazione e quindi del valore dell’individuo vivificato dalla pulsione verso la solidarietà e l’amore del prossimo. Il sempre più spesso ricordato “perché non possiamo non dirci cristiani” di crociana fattura rappresenta un lascito storico e storicistico dal quale traluce un’inconfondibile impronta laica poiché la coscienza laica assume nel suo sé gli eventi che hanno potentemente contribuito a trasformare la realtà (e il cristianesimo è stato ed è tra i più rilevanti) privilegiandone gli aspetti dinamicamente propulsivi ed inserendoli nel quadro di una modernità umanistica che concilia la fede con il rispetto per l’altro e con la libera scelta individuale. Il laicismo ha il suo culmine nell’abolizione dell’idea stessa di “peccato”. Non c’è peccato se non quello che rafforza le pulsioni contro l’altrui libertà. Non c’è peccato se non l’egoismo dell’io e del noi contro il tu e il voi. Non c’è peccato se non la sopraffazione contro l’altro e contro il diverso. Il laico non è relativista né, tantomeno, indifferente. Soffre con il debole, soffre con il povero, soffre con l’escluso e qui sta il suo cristianesimo e il suo socialismo. Perciò il laico fa proprio il discorso della montagna. Fa propria la frusta con la quale Gesù scaccia i mercanti dal tempio della coscienza, si dà carico dell’Africa come metafora dei mali del mondo. il laico vuole l’affermazione del bene contro i mali, i tanti mali che abbrutiscono l’individuo sulla propria elementare sussistenza impedendogli di fare emergere la propria coscienza, i propri diritti e i propri doveri al di sopra della ciotola sulla quale reclina la poca forza di cui ancora dispone per appagare i bisogni primari dell’animale nudo che è in lui. E’ secondario che il laico abbia una fede e dia sulla base della propria fede un senso alla sua vita, oppure che non l’abbia, non creda nell’assoluto e non veda nella vita se non il senso della vita e non veda nella morte se non la restituzione della sua energia vitale ai liberi elementi della cui combinazione è nata la sua consapevole individualità. Questa è a mio avviso la moralità e l’ontologia del laico ed anche la sua antropologia e la sua pedagogia. Il Cristo che perdona l’adultera e associa Maria di Magdala allo stuolo dei suoi discepoli è un laico, come il Cristo che riconosce al potere civile ciò che al potere civile spetta per organizzare la civile convivenza. In realtà il Figlio ha profondamente modificato l’immagine del Padre che, annichilendo Giobbe, inneggia alla creazione del Leviatano come manifestazione della sua infinita e indiscutibile potenza. Con la quale annulla ogni teodicea e l’idea stessa della giustizia. Noi europei abbiamo conosciuto purtroppo il Leviatano all’opera e quindi siamo vaccinati contro ogni sua possibile incarnazione. La stessa immagine di un qualsiasi impero contrasta con i valori dell’Occidente laico e dovrebbe contrastare ancor più con i valori del cristianesimo e del singolo cristiano, fosse pure in nome del Bene con la maiuscola. Per questo è vero che non possiamo non dirci cristiani ed è altrettanto vero che non possiamo non dirci laici in tempi nei quali cresce la bestiale violenza, l’inutile guerra, l’intolleranza, l’egoismo, il disconoscimento dell’altro e del diverso. I contrari di tutti questi sono i valori dei laici e con essi noi laici ci identifichiamo. E’ anche questa una fede, che ingloba le fedi a livello di ragione. Una fede che si affida alla volontà anziché alle illusioni e agli esorcismi contro la morte. Personalmente mi consola pensare che la nostra energia vitale è indistruttibile e servirà anch’essa a mantenere la cosmica energia che alimenta in perpetuo la vita >>.
EUGENIO SCALFARI – Quotidiano “La Repubblica” – 7 novembre 2004.

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3###3 UNA RIFLESSIONE SULLA SITUAZIONE UCRAINA – LUG24.

di MARCO TRAVAGLIO 

Oltre all’orecchio destro di Trump e a quel che resta di Biden e del suo Secret Service, il proiettile esploso sabato sera da Thomas Matthew Crooks ha colpito anche Zelensky. Che ieri, tomo tomo cacchio cacchio, appena riavutosi dallo choc, ha dichiarato con l’aria di dire la cosa più logica del mondo (quale effettivamente è) che, al summit autunnale di pace, “dovranno esserci anche rappresentanti russi”. 
Prima o poi, ne pronuncerà anche il nome (non è difficile: Vladimir Putin) e revocherà il suo decreto del 4 ottobre 2022 che proibisce a tutti gli ucraini, cioè anche a lui, di negoziare con i russi. 
In attesa che qualche atlantoide nostrano dia anche a lui del putiniano, non basta una Treccani per raccogliere gli insulti, le calunnie, le gogne, gli ostracismi subiti da chi osa dire la stessa cosa da due anni e mezzo: la guerra fra Russia e Ucraina si chiude solo con un negoziato fra Russia e Ucraina con i rispettivi alleati (Cina e Brics, Usa e Nato). 
L’avevano capito le stesse Russia e Ucraina già nel marzo 2022, cioè 28 mesi e centinaia di migliaia di morti fa, quando si accordarono con la mediazione di Erdogan e Bennet. Poi gli oltranzisti Nato paracadutarono Boris Johnson su Kiev per intimare a Zelensky di non firmare e di far massacrare il suo popolo per sconfiggere la Russia. Un’idea paranoica che era già costata cara a Napoleone e a Hitler. E ora ha condannato a morte l’Ucraina, precipitata da 44 a 28 milioni di abitanti, semidistrutta nelle infrastrutture, decimata nei suoi giovani, ancor più fallita economicamente e ora anche militarmente. 
Ma ha devastato anche l’Europa con le sanzioni che dovevano abbattere il sanzionato Putin e hanno rovinato i sanzionatori. E ha trascinato la Nato nell’ennesima sconfitta, come se non bastassero i disastri nei Balcani, in Libia, in Niger e dintorni e la fuga ignominiosa da Kabul.
Intanto Putin che dovevamo isolare, ci ha isolati con tutti i Brics presenti e futuri. E assiste sadicamente alla disgrazia dei leader che puntavano sulla sua e cadono come birilli: Johnson, Truss, Sunak, Draghi, Letta, Marin, Morawiecki, Macron, Scholz, Biden… Resta da capire se potrà essere Zelensky, lo sconfitto, a convocare i negoziati dopo averli irrisi per due anni, o se l’Ucraina dovrà trovarsi un rappresentante più credibile per la nuova parte in commedia, anzi in tragedia. E si vedrà se Putin, il vincitore, aderirà al vertice autunnale o attenderà il 20 gennaio, quando la Casa Bianca avrà un nuovo inquilino che gli pare tanto di conoscere. 
Di certo nessuno chiederà un parere ai cani da riporto e da compagnia della cosiddetta Europa, che infatti, diversamente da Zelensky, non hanno ancora neppure sentito gli spari di Butler. 
Magari qualcuno li avviserà poi a cose fatte, come si addice alla servitù.
(Dal Web)

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RIFLESSIONI RACCOLTE – LUG24

– L’AMORE
Lei ha detto: “Non chiamare il dottore, voglio dormire tranquilla con la tua mano nella mia”.
Lui le ha parlato del passato, di come si sono conosciuti, del loro primo bacio.
Non hanno pianto, hanno sorriso. Non si sono pentiti di nulla, sono stati riconoscenti. 
Allora lei ha ripetuto dolcemente: “Ti amo per sempre” e lui le ha restituito le sue parole dandole un bacio delicato sulla fronte. Lei ha chiuso gli occhi e si è addormentata in pace con la mano nella sua.
L’amore è la cosa più importante perché veniamo al mondo con nient’altro che amore e ce ne andiamo senza nient’altro che amore. Professione, carriera, conto in banca, i nostri beni sono solo strumenti, nient’altro. Tutto rimane qui. Ama, come se non ci fosse niente di più importante nella tua vita.
(Dal Web)

– IL SENSO DELLA VITA
Sbrigatevi a vivere,
sbrigatevi ad amare,
perché nessuno sa quanto tempo sia rimasto nella clessidra. 
Siamo convinti di avere ancora tempo, ma non è così.
Un giorno ci rendiamo conto di aver superato il punto di non ritorno, 
ma è troppo tardi.
Dobbiamo imparare a vivere nel presente.
Guardando troppo al passato, ci maceriamo in rimorsi e rimpianti.
Sperando troppo nel futuro, ci culliamo nelle illusioni.
L’unica vita che vale veramente la pena vivere è quella del momento presente.
(GM)
(Dal Web)

– LA BELLEZZA DEL SUD

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“E PLURIBUS UNUM”.

E pluribus unum sul primo stemma statunitense

E pluribus unum (in italiano Dai molti uno) è una locuzione latina il cui uso più noto è quello di motto nazionale degli Stati Uniti d’America.

La frase deriva dal Moretum, poema attribuito a Virgilio.
Nel testo del poema, color est e pluribus unus descrive il miscelarsi dei colori in uno solo.
Si trattava di una locuzione ben nota ai letterati nordamericani del XVIII secolo, in quanto appariva sul Gentleman’s Magazine, mensile pubblicato a Londra sin dal 1731. La leggenda vuole che Ex pluribus unum venisse usato sulla copertina del volume annuale, che conteneva una collezione dei dodici numeri della rivista usciti nel corso dell’anno.

Il più noto uso della locuzione, come detto, è quella di motto nazionale degli Stati Uniti: lo si può infatti trovare sullo stemma di Stato inscritto in un nastro dorato tenuto dal becco dell’aquila dalla testa bianca al centro dello scudo, nonché su altre emissioni governative basate sullo stesso simbolo (per esempio sulle monete).

La frase si riferisce all’integrazione delle originarie tredici colonie in un’unica nazione unita e fu scelta dal comitato che doveva decidere lo stemma nazionale nel 1776 all’inizio della guerra d’indipendenza, su suggerimento di Pierre Eugene DuSimitiere.

La frase figura anche, fin dall’origine, nel logo societario dello Sport Lisboa e Benfica, polisportiva portoghese fondata a Lisbona nel 1904: appare su un nastro rosso e verde sotto gli artigli di un’aquila che sovrasta lo scudo con gli altri elementi del logo.

La locuzione è stata adottata quale motto e parte integrante del logo di Sistema Impresa, Confederazione datoriale a carattere maggiormente rappresentativo, riconosciuta tale con Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 10 agosto 2010: appare nel libro retto da un leone alato rivolto verso destra caratterizzato dalla colorazione in blu dei contorni, su sfondo bianco.
(Dal Web)

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VERGOGNA ITALIANA: MATRIMONIO ITA AIRWAYS E LUFTHANSA…SCHIAVO È COLUI CHE DECIDE DI ESSERLO…!

Pro Italia
@ProItalia_org

L’Unione Europea suona le campane e benedice l’accordo tra la compagnia area tedesca #Lufthansa e quella nostrana #ItaAirways (ex Alitalia). Peccato che quello che il ministro Giorgetti spaccia come un amorevole matrimonio sia in realtà un’acquisizione vera e propria. Con ciò che rimane di Alitalia a fare da dessert, tanto per cambiare. Guten appetit…!

ERAVAMO TUTTO CIÒ CHE GLI ALTRI SOGNAVANO DI ESSERE…!

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AM## 51° STORMO – CIAO RICCARDO SEI SEMPRE FRA NOI…!

IL 4 LUGLIO 2022 CI LASCIAVA IL GENERALE RICCARDO MARCHESE.
Per la serie…Uomini che hanno fatto la Storia di uno dei più prestigiosi Reparti dell’Aeronautica Militare Italiana.

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IL GENERALE RICCARDO MARCHESE
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IL GENERALE RICCARDO MARCHESE LASCIA IL SERVIZIO ATTIVO NEL 1986…
IL GATTONE E I TOPINI PIANGONO E SI DISPERANO.
IL DISEGNO (1986) E’ DI BRUNO GARBUIO, IN ARTE BRUGAR,
DA SEMPRE AMICO DEL 51° STORMO.

Il 51° Stormo di Istrana (Treviso) in ricordo del Generale di Brigata Riccardo Marchese scomparso il 4 luglio 2022. 
Ufficiale di pregiate ed encomiabili doti umane e professionali, da sempre vicino alle sorti delle donne e degli uomini del Reparto, il Generale Marchese, sin dall’insediamento nel Reparto avvenuto nel 1954, è stato un riferimento per il personale militare e per la Comunità di tutta la Marca Trevigiana. Dopo aver lasciato il servizio attivo nel 1986, ha continuato a dare il suo contributo alla vita del Reparto e ha gestito l’Ufficio storico del 51° Stormo ed il Circolo del 51, di cui è stato il Socio fondatore nel 1971. 

Chi era il Generale Riccardo Marchese?

Il Generale Marchese, nato a Botrugno (Lecce) il 20/09/1927, si era arruolato in Aeronautica Militare nel lontano 1952. Trasferito presso la 51ma Aerobrigata di Treviso nel 1953, ha da sempre svolto il suo servizio come Capo Ufficio Comando fino al collocamento in quiescenza nel 1986.
Durante gli anni di servizio ha avuto modo di sviluppare le sue indiscutibili doti di coordinatore delle attività aeronautiche di presidio e cerimoniere per eventi di livello nazionale ed internazionale.
Nel 1987 è stato nominato Presidente della Sezione AAA di Treviso, mantenendo la carica per 35 anni e portando la Sezione ad essere la più numerosa d’Italia con più di 1600 soci iscritti.
Dal 1990 al 2018, ha fatto parte del Consiglio Direttivo Nazionale della AAA Aviatori d’Italia, prima come Consigliere e poi come Vice Presidente.
Come Socio Fondatore del “Circolo del 51” ne ha ricoperto la carica di Segretario per 51 anni, supportando e sostenendo i sei Presidenti succedutesi, organizzando le varie Assemblee e le famose serate presso la Birreria di Pedavena, durante le quali centinaia di “Aviatori” del 51° hanno condiviso la passione per il volo e l’onore di appartenere a questo glorioso Stormo.
Con la Sua scomparsa, il 4 luglio 2022, una parte della Storia del 51° è “volata via” lasciando attoniti amici, colleghi e centinaia di aviatori che hanno avuto l’onore di conoscerlo e di apprezzarne le sue qualità umane e professionali. 
Oggi vogliamo ricordarti così.

CIAO RICCARDO, SEI SEMPRE FRA NOI…!

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AM## SPECIALE USTICA: “UNA BRECCIA NEL MURO”- RAI 3 MASSIMO GILETTI 25 GIUGNO 2024.

Il giorno 25 giugno 2024 Massimo Giletti ha presentato su RAI 3 il programma “Una Breccia nel Muro”. Già il titolo è palesemente fuorviante. Alla trasmissione erano presenti, da un lato, una decina di iene e dall’altro un solo leone. Massimo Giletti si è fatto sfuggire, poi, la situazione di mano e, a un certo punto, sono comparse anche le scimmie urlatrici. Uno spettacolo decisamente impietoso e indegno. In studio è intervenuto, poi, anche qualche testimone, in cerca di un tocco di facile protagonismo, che si è esibito in farneticanti dichiarazioni peraltro non verificabili. Come siamo caduti in basso Massimo Giletti…! Qui non si tratta di una breccia nel muro ma di un mare di fango gettato su già palesi ed evidenti verità ormai da molto tempo accertate dalle Commissioni d’inchiesta e dai Giudici che hanno seguito il delicatissimo caso Ustica.
Le iene però urlavano di più e insistevano per promuovere e imporre alla video audience, le loro farneticanti versioni. Vogliono avere ragione a tutti i costi e il concetto di verità accertata è sovrastato dalla loro supponente e indomita protervia. Se l’intento di Massimo Giletti era quello di fare chiarezza su un caso così delicato e profondamente umano, è solo riuscito, invece, nell’intento forse voluto, di sollevare un polverone mediatico nel tentativo di nascondere le verità accertate già da molto tempo. Massimo Giletti non si è preoccupato, ad esempio, di parlare e spiegare alla platea mediatica il “Lodo Moro” perché è una verità bruciante anche per la sinistra italiana.
Come la mettiamo con la strage alla stazione ferroviaria di Bologna avvenuta il 2 agosto 1980 ovvero solo 36 giorni dopo l’evento Ustica? Anche lì i generali traditori, sono passati con un treno ad alta velocità e hanno sparato un missile contro la stazione ferroviaria ricolma di inermi passeggeri?
Come la mettiamo con la strage sul treno rapido 904 proveniente da Napoli e diretto a Milano il 23 dicembre 1984? Il treno fu squassato da un’esplosione violentissima mentre si trovava all’interno della galleria di San Benedetto Val di Sambro (Bologna), la “galleria degli Appennini”. Anche lì i generali traditori, travestiti da poliziotti, hanno lanciato un missile “da galleria”…?
Come la mettiamo con l’attentato al lato partenze dell’aeroporto di Fiumicino il 27 dicembre 1985? Anche lì i generali traditori, travestiti da terroristi palestinesi, hanno sparato un missile in mezzo alla folla di passeggeri in attesa al check in…?
Quale breccia nel muro ha aperto Massimo Giletti?
Anche il suo giornalismo d’inchiesta si è rivelato essere uno spregiudicato “giornalismo da paranza”…etero diretto e fazioso.
Per la trasmissione di Massimo Giletti, l’ordine di scuderia impartito dai burattinai di turno è stato “Facite ammuina” e…ammuina fu…!
Aldo Rossi

Questa è la l’email di diffida che il Prof Gregory Alegy ha inviato alla RAI il 22 giugno 2024 in merito alla trasmissione di Massimo Giletti. La gente seria c’è e si fa anche sentire…!

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AM## STRAGE DI USTICA – DOPO PIÙ DI 40 ANNI È FINALMENTE ARRIVATA LA VERITÀ…!

Il 27 giugno 1980 alle ore 20.59, si consumava nei cieli d’Italia, una delle tragedie più misteriose e angoscianti che, la storia recente del nostro Paese, abbia mai conosciuto. 
Il volo Itavia IH 870  da Bologna a Palermo  con aereo DC9  I-TIGI, precipitava in mare a circa 50 miglia nautiche a nord  dell’isola di Ustica. Alle 81 vittime di quella sciagura aerea  ed ai loro familiari rivolgiamo un rispettoso e deferente omaggio. Molto è stato scritto in merito a questo gravissimo incidente aereo.  Sono state avanzate, da parte di improvvisati  “giudici senza toga”, le ipotesi più stravaganti e le illazioni più infamanti. Un velenoso cocktail di presunzione, di ignoranza, di arroganza e di ostentata protervia anche nei confronti del delicato e proficuo lavoro della Magistratura. Talune note frange del contesto politico e socio-mediatico nazionale, si sono sbizzarrite,  nel corso di tutti questi anni, a inseguire fantasiose elucubrazioni e ricostruire fantastici scenari di quel tragico evento.  Era però evidente che nella ricerca di “una loro verità” su quanto  avvenuto a bordo di quell’aereo, si celava in realtà un subdolo tentativo di avvalorare ipotesi accusatorie palesemente insostenibili che, peraltro, nel corso di questi lunghi anni, non hanno mai trovato nemmeno il seppur minimo riscontro indiziario. Il processo che ne è seguito, ha visto, quali principali indagati, i vertici dell’Aeronautica Militare Italiana dell’epoca. I “Generali traditori”, rei di avere programmato ed abilmente nascosto l’abbattimento di un aereo civile, sono stati sottoposti, per anni, ad una vergognosa gogna mediatica in totale spregio di quel nobilissimo dettato giuridico-costituzionale che riguarda il principio di presunzione di innocenza. Ebbene, quel  processo si è concluso, dopo qualche decennio, in tutti i suoi gradi di giudizio, con la  piena assoluzione di tutti gli imputati perché “il fatto non sussiste”. Alle 81 vittime di quell’incidente aereo vanno quindi  aggiunte anche le numerose “vittime” di quel vergognoso, irresponsabile, strumentale e protervo circo mediatico. In tutti questi anni non sono mai stati individuati I colpevoli. Ciò non vuol dire, però, che i veri colpevoli, non ci siano. Anche questo incidente rimarrà senza risposte…e con un grande, inquietante punto di domanda…? Esso  troverà posto negli archivi della memoria storica del nostro Paese,  sarà consegnato all’oblio e si perderà nella notte dei tempi? Purtroppo, come è già avvenuto per altri tragici eventi della storia italiana, il porto delle nebbie non chiude mai, e di quelle povere vittime rimarrà solo un ricordo sempre più tenue. Nel cuore dei familiari, il dolore, la sofferenza e la solitudine faranno da perenne cornice ad  angoscianti interrogativi e a una comprensibile, frustrante grande delusione. Ma…i reati  di strage, non cadono mai in prescrizione…!
Il lettore si chiederà il motivo per cui mi permetto di rievocare ed esprimere le mie considerazioni e le mie impressioni su quei tragici accadimenti. Ebbene, il giorno 27 giugno 1980 anch’io ero in volo ai comandi di un altro aereo DC9   Itavia  Solo qualche ora prima, in rotta  quasi opposta a quella dell’aereo caduto ho attraversato, infatti, la stessa porzione di spazio aereo ma nulla faceva presagire l’imminente tragedia. Il Destino, cinico e baro, non si limita a colpire alle spalle ma, talvolta,  si prende anche gioco di noi…il giorno precedente avevo effettuato ben due voli con il DC9 Itavia  I-TIGI poi precipitato in mare il giorno seguente. Il secondo motivo per cui mi sento qualificato ad esprimere le mie riflessioni su  questo incidente, deriva dal fatto che per circa dieci anni, fino agli inizi del 1979, ho operato come pilota militare su velivoli caccia intercettori F104S. Sono stato in forza al 22° Gruppo  del 51° Stormo Caccia di stanza all’aeroporto di Istrana (Treviso). Conosco perfettamente le dinamiche del  volo operativo di un aereo caccia intercettore e posso quindi parlarne con cognizione di causa.
Prima di staccare le ruote dalla pista di decollo, un caccia intercettore della nostra Aeronautica Militare, specie se caricato con armamento reale, deve  subire una miriade di controlli e verifiche da parte di più persone. I tecnici addetti alla manutenzione, i tecnici addetti alla linea di volo, gli addetti ai servizi di vigilanza e sicurezza, gli addetti al servizio antincendio, gli armieri, gli addetti alla torre di controllo e molti altri…sono tutte persone che non possono non vedere. Caricare un missile sotto le ali di un velivolo è un’operazione complessa che comporta una serie di autorizzazioni speciali e specifiche. Presentarsi al deposito munizioni di un aeroporto militare per prelevare un missile non è come entrare dal tabaccaio per comperare un sigaro toscano! Se alla fine delle operazioni quel missile non viene riportato in deposito, centinaia di persone ne conoscono il motivo. Una volta in volo, gli aerei (nelle missioni operative con armamento reale gli aerei sono sempre almeno due) vengono guidati sul potenziale bersaglio, dai controllori radar del servizio “guida caccia” competenti per territorio. Prima di attivare il sistema di lancio e quindi “premere il grilletto”  i piloti  devono, però, eseguire delle particolari procedure di identificazione e di autenticazione dell’eventuale ordine di abbattimento ricevuto (regole di ingaggio). Questa è una procedura che prevede la rapida attivazione e verifica di codici speciali di cui sono a  conoscenza  solo i piloti e i controllori guida caccia che, in quel preciso momento, stanno operando. L’azione del pilota, quindi, non è limitata alla semplice condotta dell’aereo ma, in previsione del lancio di un missile, il pilota deve eseguire, in corretta sequenza, anche una serie di operazioni che escludono la possibilità del lancio accidentale di un  missile “attivo”. La semplice pressione sul grilletto di tiro non provoca, infatti, alcun effetto. Il missile, per partire e attivarsi, ha bisogno di una serie di “autorizzazioni” elettrico-meccaniche da parte dei computers di tiro posti a bordo dell’aereo stesso. Infine, un aereo decollato con armamento reale, al momento del suo  rientro alla base madre o su un qualsiasi altro aeroporto militare italiano, viene sottoposto, da parte di più persone, a un’altrettanto severa e ineludibile serie di controlli.

F104S ARMATO CON MISSILI A GUIDA SEMI-ATTIVA E CON MISSILI A RAGGI INFRAROSSI

È impossibile non accorgersi dell’eventuale mancanza di un missile. In tempo di pace, le operazioni di volo e la catena di comando e controllo della Difesa Aerea Italiana sono, quindi, molto più complesse e sofisticate di quanto si possa pensare.
Tutte le operazioni sono il frutto di un’altrettanto complessa, attenta e qualificata sinergia che non lascia spazio a margini di errore. Ai fini di una più agevole comprensione di queste mie note, ho volontariamente semplificato la presentazione di queste procedure. Ho utilizzato un linguaggio spero comprensibile, non tecnico. Questa lunga presentazione mi serve quindi per affermare, con la massima serenità, che, in tempo di pace,  nell’Aeronautica Militare Italiana, le regole di ingaggio e le relative procedure erano e sono così rigide, cogenti e restrittive che  l’ordine di abbattere un aereo civile  NON POTEVA E NON POTRA` MAI ESSERE DATO.
Cosa è successo quindi a bordo dell’aereo Itavia la sera del 27 giugno 1980…? Personalmente non ho mai ritenuto condivisibile l’ipotesi di un cedimento strutturale. Le commissioni d’inchiesta ufficiali che si sono succedute nel corso di tutti questi anni hanno ampiamente dimostrato che l’aereo è stato SICURAMENTE interessato da un’esplosione interna come evidenziato da tutte le qualificate perizie tecniche cui è stato sottoposto il relitto.
Da non dimenticare, infine, che il 2 agosto 1980, esattamente 36 giorni dopo Ustica, veniva firmata con il sangue di moltissimi innocenti, anche la strage alla stazione di Bologna. I due tragici fatti sono fra loro correlati?  Io non sono in grado di rispondere. Quanto sopra rappresenta unicamente il mio pensiero. Non sono il difensore d’ufficio di nessuno. Questo mio lavoro vuole essere  un umile contributo alla ricerca della verità sul caso Ustica. È un lavoro che dedico, in primis, alla mia amatissima Arma Azzurra e a chi sa valutare, analizzare e comprendere con il necessario  distacco e la dovuta serenità uno degli eventi più tragici della storia italiana della seconda metà del secolo scorso. Il mio vuole essere anche un invito a non cedere alla rassegnazione, ad avere fiducia nello Stato, nelle sue Istituzioni e nella Giustizia. La verità è figlia del tempo e il tempo è sempre galantuomo.
In questo triste anniversario, rivolgo ancora un doveroso omaggio alle Vittime e un particolare pensiero è per i colleghi  Domenico Gatti, Enzo Fontana, Paolo Morici e Rosa De Dominicis componenti dell’equipaggio titolare di quel volo.

EQUIPAGGIO DEL VOLO ITAVIA IH 870 BOLOGNA-PALERMO DEL 27 GIUGNO 1980
ITAVIA I-TIGI
RICOMPOSIZIONE DEL VELIVOLO I-TIGI DOPO IL RECUPERO DEI PEZZI NEL MARE DI USTICA


Caccia-F104S in-volo     Autore

RIFLESSIONI FINALI
LA STRAGE DI USTICA FU CAUSATA DALL’ESPLOSIONE, IN VOLO, DI UNA BOMBA POSTA NELLA TOILETTE POSTERIORE DELL’AEREO.

Questo è l’inconfutabile risultato cui sono pervenute TUTTE le Commissioni d’inchiesta nominate per l’analisi del caso. A noi non interessano le elucubrazioni dei “giornalisti da paranza” che hanno avuto il loro capofila più quotato, in Andrea Purgatori. Tutto il polverone sollevato attorno al caso Ustica è stato palesemente mirato all’occultamento delle reali responsabilità collegate in particolare al Lodo Moro. Nessuna parte politica può chiamarsi fuori. Tutti sono stati complici del vergognoso silenzio e dell’alone di omertà che ha avvolto questo tragico evento, artatamente nascosto per decenni, dietro il viscido paravento del Segreto di Statoora decaduto! Le carte parlano chiaro e sono a disposizione di chiunque presso l’Archivio di Stato a Roma.
Anche la Strage alla stazione ferroviaria di Bologna avvenuta il 2 agosto 1980, ovvero circa un mese dopo la Strage di Ustica, rientra nel lodo Moro? E la miriade di stragi sui treni e aerei che ha marcatamente caratterizzato gli anni ’80?. In Europa e in Italia gli anni ’80 rappresentarono l’acme del terrorismo palestinese. C’è un libro molto interessante e documentato, scritto da Ugo Gargiulo all’epoca (1985), Capo scalo Procuratore della Canadian Pacific Airlines presso l’aeroporto di Roma Fiumicino. Ugo Gargiulo ha seguito in prima persona tutte le fasi dell’attentato palestinese avvenuto all’aeroporto di Roma Fiumicino il 27 dicembre 1985.
Una rappresentazione, la sua, vissuta in presa diretta sul luogo dell’evento e che lascia trasparire l’umanità e l’empatia che caratterizzano le emozioni e le reazioni solo…delle persone “vere”.


Altra nota assai dolente riguarda la Giustizia Penale e Civile che hanno interessato e trattato il caso Ustica. Siamo arrivati al ridicolo paradosso che le sentenze della Giustizia Penale sono state totalmente ignorate e disattese in ambito della Giustizia Civile.
La Giustizia Penale aveva inequivocabilmente stabilito che l’aereo Itavia era stato oggetto di un’esplosione a bordo e quindi di un attentato e non per colpevole mancata vigilanza e protezione dello spazio aereo da parte delle Autorità italiane. La Giustizia Civile, però, nella persona del giudice Rosario Priore, ha ignorato questa sentenza e ha condannato lo Stato italiano (Noi!) ad attribuire comunque risarcimentI milionari assolutamente non dovutI. Il giudice Rosario Priore era particolarmente affezionato alla teoria del complotto dei Generali dell’Aeronautica Militare Italiana? Ribadisco, ad abbattere l’aereo Itavia, lo dicono tutte le perizie, non fu un missile bensì una bomba posta a bordo dell’aereo stesso. Punto…!
Un’ultima considerazione sulla realtà ITAVIA. Il disastro di Ustica (1980), vedeva l’Italia consegnata ormai da tempo a governi di centro sinistra. L’allora ministro dei trasporti, il socialista Rino Formica, non esitò a revocare le concessioni di esercenza alla Compagnia aerea Itavia ben prima che i giudici, individuati “i colpevoli”, pronunciassero le rispettive sentenze. L’Itavia era una Compagnia aerea privata e quindi, pregiudizialmente invisa alla devastante ideologia assistenzial-nichilista tipica della sinistra italiana.
Aldo Davanzali, l’imprenditore “visionario” fondatore della realtà Itavia, aveva anticipato i tempi che, solo molto, molto più tardi, avrebbero visto sorgere le attuali compagnie di volo low cost. Aldo Davanzali ha rappresentato la forza e la tenacia della vera imprenditoria italiana mirante alla valorizzazione del patrimonio naturale, storico e culturale del Paese Italia. Per ultimo ma per questo non meno importante, la sopravvivenza dell’Itavia avrebbe sicuramente anche evitato la fine triste, squallida e meschina di Alitalia relegata a un misero ruolo ancillare nel trasporto aereo mondiale ed europeo in particolare. Mi fermo qui perché sono sopraffatto dall’emozione.
Aldo Rossi
Giugno 2024

…POI È ARRIVATA LA SINISTRA.

PER CHI DESIDERASSE SAPERNE DI PIÙ SUL CASO USTICA PROPONGO QUESTI LINK:
PRESENTAZIONE DEL CASO USTICA DEL PROF. ANTONIO BORDONI (27′ min)
IL “LODO MORO” – CARLO GIOVANARDI INTERVISTATO DA FRANCESCO BORGONOVO (20′ min)
19 GIUGNO 2023 2° CONVEGNO ANNUALE SUL DISASTRO AEREO DI USTICA: ARCHIVI APERTI, CARTE DESECRETATE E PISTE TRASCURATE (3h 15′)

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ALL’ARENA DI VERONA CELEBRATA LA MUSICA LIRICA ITALIANA COME PATRIMONIO IMMATERIALE DELL’UMANITÀ.

Il 7 giugno 2024 si è tenuto un evento unico all’Arena di Verona per celebrare il canto lirico italiano già dichiarato patrimonio dell’umanità, ancora lo scorso dicembre. Oltre cento musicisti e più di trecento coristi si sono esibiti sotto la direzione del Maestro Riccardo Muti per celebrare il riconoscimento del canto lirico italiano come tesoro culturale immateriale da parte dell’Unesco. Alla manifestazione hanno partecipato le più alte cariche dello Stato, tra cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente del Senato Ignazio La Russa, il presidente della Camera Lorenzo Fontana, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e quattro ministri, Gennaro Sangiuliano (Cultura), Adolfo Urso (Made in Italy e Imprese), Guido Crosetto (Difesa) e Luca Ceriani (Rapporti con il Parlamento).


Riccardo Muti ha diretto un’orchestra di 170 musicisti provenienti dai 14 teatri d’opera italiani, affiancati da oltre 314 cantanti corali e da un cast di stelle della lirica mondiale che si sono esibiti riproponendo le più grandi opere italiane, da Verdi a Puccini, da Donizetti a Bellini. Si sono esibite anche le due etoile del Teatro alla Scala, Roberto Bolle e Nicoletta Manni.
“Sono qui per testimoniare il mio entusiasmo e il mio orgoglio per il fatto che l’opera lirica italiana abbia ricevuto questo grande riconoscimento”, ha detto Muti alla folla. “Certo, questo è un momento importante, perché il riconoscimento non è mai un punto di arrivo ma un punto di partenza”.
Nella seconda parte dell’evento, alla direzione dell’Orchestra e del Coro è subentrato il Maestro Francesco Ivan Ciampa con la sua direzione altrettanto sublime e magistrale.
Una serata unica, con un cast di stelle e una platea d’eccezione. Il modo migliore per celebrare il canto lirico e l’incanto dell’opera italiana sotto gli occhi di tutto il mondo.
L’evento è stato trasmesso in mondovisione e a prescindere dalla presenza dei migliori cantanti del pianeta, l’Arena si è confermata ancora una volta un contenitore di magia…la Grande Opera Italiana Patrimonio dell’Umanità.
L’Arena si riempie con largo anticipo e parte, poi, anche la diretta Rai, con Cristiana Capotondi tra il pubblico assieme a Luca Zingaretti e Alberto Angela, sempre molto amato dalla gente. Ma è quando entra il Maestro Riccardo Muti che l’Arena esplode, si sistema davanti all’orchestra e al coro, l’impatto è notevole con quasi 500 persone tutte insieme sul palco. La scaletta si apre con l’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini, poi la Sinfonia dalla Norma e Macbeth prima del prezioso racconto di Angela sulla storia dell’opera italiana: quindi una delle arie più famose in assoluto, il «Va’, pensiero» da Nabucco, la prima parte è solo strumentale, delicata e intensa allo stesso tempo: poi parte il coro e il risultato è straordinario. La serata presenta tutti i brani più belli della storia dell’Opera italiana. La diretta in mondovisione è l’ennesima occasione di far vedere a tutto il mondo la bellezza di Verona, anche con i collegamenti in esterna dalla Casa di Giulietta e dal Ponte di Castelvecchio.
(Dal Web)

RAI – REGISTRAZIONE DELL’EVENTO (3h 40′)

Sono state quasi 4 ore di musica celestiale, di emozioni calde e avvolgenti. Mi sono commosso anche perché ho finalmente rivisto l’Italia vera e non quella intrisa di nichilismo culturale subalterno e autolesionista tipico di una società che ha perso anche se stessa.
Il Maestro Riccardo Muti, il Maestro Francesco Ivan Ciampa, tutti gli Artisti, l’Orchestra, il Coro, Alberto Angela e Luca Zingaretti sono stati sublimi. Una menzione particolare la vorrei dedicare alla presentatrice Cristiana Capotondi, alla sua straordinaria professionalità, alla sua bellezza eterea, sobria e avvolta in un’eleganza essenziale.
QUESTA È LA VERA ITALIA IN CUI MI RICONOSCO…!
Un grazie particolarmente sentito al Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e alla sua artistica e patriottica sensibilità.
Insegnate anche ai bambini ad amare la musica lirica, diventeranno uomini migliori, più completi e più consapevoli. La musica lirica è nutrimento per la mente, per lo spirito, per l’anima e per il cuore.
Aldo Rossi

Le arie più belle dell’Opera italiana eseguite da stelle internazionali
Con (in ordine alfabetico):
Georges Bizet Carmen Les tringles des sistres tintaient · Aigul Akhmetshina Sofia Koberidze, Daniela Cappiello
Gioachino Rossini Il Barbiere di Siviglia Largo al factotum della città · Nicola Alaimo
Pietro Mascagni Cavalleria rusticana Intermezzo · Roberto Bolle
Giacomo Puccini Madama Butterfly Coro a bocca chiusa · Roberto Bolle, Nicoletta Manni
Giacomo Puccini Madama Butterfly Un bel dì vedremo · Eleonora Buratto
Giacomo Puccini La Bohème Vecchia zimarra, senti · Gianluca Buratto
Giacomo Puccini Turandot Tu che di gel sei cinta · Rosa Feola
Giacomo Puccini La Bohème Che gelida manina,
Giuseppe Verdi Rigoletto La donna è mobile · Juan Diego Flórez
Giacomo Puccini Turandot Nessun dorma · Vittorio Grigolo
Giuseppe Verdi La Traviata Libiamo ne’ lieti calici · Vittorio Grigolo, Rosa Feola
Giacomo Puccini La Bohème Quando me’n vo · Juliana Grigoryan
Ruggero Leoncavallo Pagliacci Recitar!… Vesti la giubba · Brian Jagde
Giacomo Puccini Tosca E lucevan le stelle · Jonas Kaufmann
Gaetano Donizetti L’Elisir d’amore Una furtiva lagrima · Francesco Meli
Giacomo Puccini Tosca Vissi d’arte, Gianni Schicchi O mio babbino caro · Anna Netrebko
Vincenzo Bellini Norma Casta Diva · Jessica Pratt
Giuseppe Verdi Il Trovatore Di quella pira · Galeano Salas
Giuseppe Verdi Rigoletto Cortigiani, vil razza dannata · Luca Salsi
Giacomo Puccini Tosca Va’ Tosca… Te Deum · Luca Salsi Matteo Macchioni
Vincenzo Bellini I Capuleti e i Montecchi Oh! quante volte, oh quante · Mariangela Sicilia Umberto Giordano Andrea Chénier Nemico della patria · Ludovic Tézier
Cori e scene da Aida, Messa da Requiem
Direttore Francesco Ivan Ciampa




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AM## UN ABBRACCIO AL GENERALE DI SQUADRA AEREA LEANDRO DE VINCENTI.

IL GENERALE DI SQUADRA AEREA LEANDRO DE VINCENTI
UNO “SCRAMBLE CAFFÈ” AL 22° GRUPPO CACCIA
1975 – IL GENERALE DINO CIARLO
CAPO DI STATO MAGGIORE DELL’AERONAUTICA MILITARE ITALIANA
IN VISITA AL 22° GRUPPO CACCIA
F104S IN MISSIONE OPERATIVA SORVOLA L’ETNA
STEMMA AERONAUTICA MILITARE ITALIANA
STEMMA 51° STORMO CACCIA
STEMMA 22° GRUPPO DEL 51° STORMO CACCIA
PREGHIERA DELL’AVIATORE

Dopo una sfolgorante carriera che lo ha condotto ai vertici dell’Aeronautica Militare Italiana, Leandro De Vincenti è ritornato sulla sua Stella.
Ciao Leandro un caro abbraccio a Te…Cacciatore di Stelle.
Aldo Rossi

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