ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE (ONG) TALUNE SONO VERE E PROPRIE ASSOCIAZIONI A DELINQUERE…?!
Brano tratto integralmente dal libro L’ULTIMO UOMO di Enzo Pennetta.
29.7.2019 – Tra le organizzazioni civili più attive nell’ultima metà del XX secolo si annoverano le ONG che hanno riscosso successo parallelamente alla crisi dei partiti tradizionali di cui hanno assorbito alcune istanze rivendicative. Teoricamente le ONG sono delle organizzazioni che operano sulla base di obiettivi svincolati da interessi di parte o da finalità economiche: la loro azione è ufficialmente sostenuta da motivazioni ideali e sociali largamente condivise presso l’opinione pubblica. I loro scopi dichiarati, infatti, sono il rafforzamento della democrazia, la riduzione della povertà, la tutela dell’ambiente e della cultura, la protezione delle fasce più deboli della popolazione. Per portare avanti queste battaglie, però, le ONG fanno poco uso degli strumenti democratici ma si impegnano nelle attività di “advocacy” e di “lobbying”, attraverso le quali mirano a influenzare i governi costituiti ad adottare decisioni favorevoli ai propri obiettivi. Un esempio storico dell’azione delle ONG è individuabile nel processo a John Scopes, quando a difesa del professore accusato di aver violato le leggi del Tennessee sull’insegnamento della teoria darwiniana nella sue implicazioni razziste ed eugenetiche, si schiera l’Unione Americana per le Libertà Civili (ACLU), un’organizzazione non governativa fondata dall’avvocato femminista e socialista Chrystal Eastman e dall’avvocato, anch’egli socialista, Roger Nash Baldwin. Nell’ACLU si possono individuare tutti gli elementi che costituiscono le ONG successive: 1. Dispongono di cospicui finanziamenti non sempre trasparenti. 2. Hanno appoggi politici. 3. Le loro origini sono talvolta legate a personaggi che diventano degli status symbol. 4. Hanno credito presso la stampa. 5. hanno contatti importanti nel mondo accademico, industriale e finanziario. Studiando il modo di agire dell’ACLU nel processo Scopes si possono individuare quelle azioni che diventeranno il modus operandi delle ONG: a. Selezionare un campo di azione. b. Creare interesse intorno ai propri fini. c. Mobilitare appoggi politici e legali. d. Ottenere un consenso sociale o anche solo mediatico rispetto ai fini prefissati. A condannare le ingerenze frequenti delle ONG nello scenario politico di Paesi sovrani è il governo russo, che nel 2012 con un provvedimento speciale ha classificato come “agenti stranieri” le organizzazioni che ricevono finanziamenti esteri e ha ratificato l’espulsione dai propri confini di 20 ONG legate alle cosiddette rivoluzioni colorate. Per quanto riguarda il Terzo Mondo quasi un anno prima il giornalista dello Zimbabwe, Tafataona Mahoso, denuncia l’ambiguità del ruolo delle ONG nel proprio Paese: quasi tutti i partiti politici e le ONG sostenute in Zimbabwe da Usa, Gran Bretagna, Unione Europea, Australia, Canada e Nuova Zelanda sono compromessi con attività e insegnamenti che cercano di cancellare o di confondere la lotta degli africani per la libertà, l’indipendenza, l’autodeterminazione e l’autonomia. Nel giugno 2017 il governo ungherese pone sotto controllo le ONG finanziate dall’estero obbligandole all’iscrizione su un registro apposito con la motivazione che esse potrebbero servire “interessi stranieri” e che i fondi ricevuti potrebbero contribuire a “mettere in pericolo la sovranità e la sicurezza nazionale dell’Ungheria”. Nel caso in cui le ONG falliscano nell’azione di colonizzazione culturale e politica di un Paese, il loro ruolo diventa quello di agenzie attive in cambiamenti di regime comunemente noti come “rivoluzioni colorate”. La tecnica del regime change viene descritta nel 1993 dallo studioso e professore di scienze politiche all’Università del Massachusetts Gene Sharp, nel suo libro Dalla Dittatura alla Democrazia. Come abbattere un regime, Manuale di liberazione non violenta. I casi più recenti di regime change sembrano avere tutti uno stesso copione. Le organizzazioni non governative (Amnesty International, Ocse, ecc.) finanziate e manovrate dagli istituti finanziari occidentali (Soros Foundation ecc.) trovano il pretesto per alimentare lo scontro (brogli elettorali in Ucraina nel 2004 oppure l’omofobia di Vladimir Putin ai giochi invernali di Sochi). Subito dopo, il compito di creare autorevolezza nel messaggio sovversivo e dividere i fronti in “buoni e “cattivi”, spetta ai mass media, che in generale creano consenso nel blocco statunitense, delegittimano il presidente ostile di turno e il più delle volte lo dipingono come un sanguinario dittatore. Le associazioni studentesche si mobilitano sui social network creando una rete di consenso per chiedere riforme attraverso un marketing politico sottile quanto provocatorio: si costruiscono attorno a un colore, un logo ben identificabile e slogan fortemente evocativi (“Optor” in Serbia. che significa “resistenza”). Gli intellettuali occidentali arrivano in soccorso dei “rivoltosi” per dare “autorevolezza morale” ai sollevamenti (vedi le visite del filosofo francese Bernard-Henri Lévy a Kiev in sostegno dei manifestanti pro-Ue, l’attacco provocatorio dell’ex deputato italiano Vladimir Luxuria ai giochi invernali di Sochi, l’esaltazione delle Pussy Riot in Russia). Ma perché un’azione tramite i social network è ritenuta lecita quando applicata alle rivoluzioni colorate, mentre a sua volta denunciata come la causa della sconfitta di Hillary Clinton alle presidenziali usa del 2016? I Media occidentali infatti hanno tacciato la Russia di compiere un’illecita operazione di ingerenza negli affari interni del Paese. Per il caso in cui i social veicolino messaggi contrari a determinate politiche o esponenti politici è stato coniato il termine “fake news”: sono quindi per definizione messaggi leciti e corretti quelli diffusi sui social durante le rivoluzioni colorate e vengono classificati come disinformazione quelli che dissentono dalle notizie riportati sui grandi media. Tra le ONG più importanti si ascrivono la Bill & Melinda Gates Foundation, nata nel 1997 e la Open Society Foundations (OSF) del finanziere George Soros. Entrambe le organizzazioni si dicono impegnate nel supporto globale alla giustizia, all’educazione, alla salute pubblica e ai media indipendenti. Tuttavia dietro gli slogan pubblicitari, risulta difficile capire quali siano gli scopi effettivi di tali organizzazioni e cosa intendono per giustizia o per media indipendenti. In proposito è degno di nota il ruolo svolto da una ONG nello sviluppo degli eventi che hanno portato nel 2014 alla rivoluzione colorata in Ucraina e nel conseguente regime change ammesso dallo stesso Soros in una intervista rilasciata alla CNN. Lo stesso vale per il CFR, Council on Foerign Relations, un’organizzazione nata nel 1921 da una iniziativa della Fondazione Rockefeller per aiutare i suoi membri (persone di governo, uomini d’affari, giornalisti, educatori e studenti, leaders civili e religiosi) a comprendere meglio il mondo e le politiche estere che riguardano gli Stati Uniti e altri Paesi. Nel 1973, sull’onda delle critiche al sostegno dato dal CFR alla guerra del Vietnam, venne fondata da David Rockefeller con la partecipazione di Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, La Commissione Trilaterale (Trilateral Commission), un think tank non governativo che riunisce oltre 300 membri tra cui i più importanti uomini d’affari dell’Europa, del Giappone e dell’America settentrionale. Oltre alle organizzazioni non governative agiscono anche altre realtà direttamente riconducibili ad uno Stato, come la statunitense National Endowment for Democracy (NED) un’organizzazione no profit con lo scopo di “diffondere la democrazia”. Fondata nel 1983, vi fanno riferimento una serie di altre organizzazioni…omissis. Queste organizzazioni fanno riferimento ad una strategia d’azione rinominata soft power, un concetto definito all’inizio degli anni Novanta da Joseph Nye dell’Harvard University. Con questa espressione si definiscono quelle manovre volte a convincere, attrarre, persuadere individui, comunità e nazioni tramite l’uso non violento di elementi propriamente culturali. Apparentemente non coercitivo – si distingue infatti dall’hard power – questo meccanismo ha l’obiettivo di indurre le persone a seguire un determinato “stile di vita” che possa rafforzare il potere di chi mette in pratica la suddetta strategia. Per Nye, infatti, il soft power è una risorsa ben più efficace della “scontro di civiltà”. Attraverso la dipendenza culturale gli Stati Uniti possono esercitare il loro potere senza l’uso delle armi. Le agenzie governative USA per lo “sviluppo della democrazia” e le ONG sono in definitiva degli strumenti complementari per infiltrare forze ostili ai governi non allineati al sistema occidentale e innescare una serie di cambiamenti in vista di un regime change, termine divenuto di uso comune dopo essere stato impiegato dal Presidente Ronald Reagan in riferimento al tentativo di rovesciare il dittatore libico Muammar Gheddafi nel 1987 e ripreso successivamente dai presidenti Bill Clinton e George W. Bush per indicare la destituzione di Saddam Hussein in Iraq. Il soft power è solo un primo stadio non violento di interferenza nell’attività di Stati esteri non allineati con le politiche globali dove le “interdipendenze” facciano capo in modo univoco agli USA secondo la pratica del “colonialismo soft”. Operazioni di regime change sono definibili anche le campagne condotte mediante interventi militari diretti, come il rovesciamento cruento di Saddam Hussein, tentato una prima volta nel1990 con la Guerra del Golfo e riuscito successivamente nel 2003; quello del regime talebano in Afganistan nel 2001; quello del Colonnello Gheddafi tentato una prima volta proprio da Regan nel 1987 e portato a termine con l’intervento NATO del 2011; da ricordare inoltre quello non riuscito nei confronti del Presidente siriano Assad nel 2013 quando l’intervento militare fu parzialmente impedito dall’azione russa a sostegno del governo siriano. I regime change militari sono l’ultima ratio che entra in gioco una volta fallite le tecniche di soft power. A precederli, per evitare l’azione diretta, sono invece le “rivoluzioni colorate”, alimentate e foraggiate dalle ONG e dalle associazioni governative e para-governative per la supposta “diffusione della democrazia”. Le rivoluzioni colorate sono dei movimenti ispirati al pensiero di Gene Sharp, fondatore nel 1983 dell’Albert Einstein Institution, finalizzato allo sviluppo delle azioni non violente, le cui idee vengono impiegate per operazioni di regime change nei paesi ex satelliti dell’Unione Sovietica, a partire dalla Serbia, (“Rivoluzione del 5 ottobre” del 2000), seguita dalla Georgia (“Rivoluzione delle rose”, 2003), dall’Ucraina (Rivoluzione Arancione dicembre 2004), dal Kirghizistan (Rivoluzione dei tulipani 2005), per finire con la seconda rivoluzione Ucraina portata a compimento nel 2014 con la destituzione del Presidente Viktor Janukovy. Omiss… Il caso dell’Ucraina mostra in modo esplicito le sinergie tra organizzazioni governative e non governative nella destabilizzazione di Paesi non allineati all’Occidente e alle sue politiche di diffusione del modello democratico. Questo tipo di azione rivoluzionaria è stata definita da Noam Chomsky, in riferimento alle rivoluzioni in Egitto e Tunisia una colonizzazione dall’interno. Le “rivoluzioni colorate” sono dunque la soluzione intermedia tra l’esercizio del soft power e quello delle azioni coercitive, ma possono perdere di efficacia nel momento in cui vengono comprese e prevenute nei Paesi in cui si attuano. Si spiegano in tal senso le già citate azioni di espulsione dalla Russia delle 20 ONG avvenute nel 2012 e il fallimento della “Rivoluzione degli Ombrelli” ad Hong Kong nel 2014, dove operano in prima linea il National Endowment for Democracy e il National Democratic Institute for International Affairs. Secondo la teoria di due colonnelli dell’esercito cinese, Qiao Liang e Wang Xiangsui, che nel 1996 pubblicano il libro Guerra senza limiti, queste azioni, unite a manovre di tipo commerciale e finanziario, costituiscono un nuovo tipo di guerra, un modo di combattere innovativo nel quale si fondono politica, finanza e azioni militari. Con questi ultimi episodi le linee di faglia non hanno un perimetro delimitato esclusivamente intorno al mondo islamico, ma si spostano topograficamente a piacimento – verso la Russia e la Cina ultimamente – dimostrando che non si tratta di uno scontro tra civiltà Occidentale e Islam – come vorrebbero i neo-conservatori, pronti a creare la finzione cinematografica western, con i nuovi pellerossa da sterminare – ma tra una visione unipolare e liquida del mondo e quella multipolare caratterizzata dai corpi solidi. Nel corso del 2017 è emerso con particolare chiarezza il ruolo di Open Society Foundation non solo nei confronti di realtà ostili o reticenti alle direttive degli USA ma anche nel condizionamento delle politiche di Paesi amici come l’Italia. Un coordinamento tra l’azione del governo Renzi e del successivo esecutivo Gentiloni con l’OSF emerge dalla presenza della ex senior policy officer presso l’Open Society Foundation Costanza Hermanin. Appena costituito il governo Renzi la Hermanin scrive una lettera aperta al Primer al quale si rivolge con tono pretenzioso affermando: “Caro Matteo, adesso dammi una ragione per non dover più lavorare sui diritti umani in Italia”. Per poi proseguire: “Adesso che il governo è pronto a mettersi al lavoro è giunto il momento di domandarti d’includere l’immigrazione , la parità e i diritti fondamentali nell’agenda delle riforme politiche ma soprattutto istituzionali”. Quasi una ingiunzione ad attuare i programmi della OSF che prevedono fra le altre cose la liberalizzazione delle droghe, la promozione dell’agenda LGBT, l’incoraggiamento dell’immigrazione e la concessione della cittadinanza per gli immigrati irregolari. Costanza Hermanin sarebbe poi diventata segretaria particolare del sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore in carica dal gennaio 2016, sotto lo stesso governo Renzi, per proseguire anche nel successivo esecutivo Gentiloni. La vicenda di Costanza Hermanin è rivelatrice della capacità di infiltrazione delle ONG e della OSF di Soros in particolare. E’ il caso, inoltre, dell’approvazione delle unioni omosessuali e delle politiche riguardo i migranti, entrambe priorità nell’agenda della OSF. Il collegamento tra Open Society Foundation e il futuro Premier Matteo Renzi è stato rivelato da Daniel Wedi Korbaria, un eritreo che vive a Roma dal 1995, sulle colonne del sito Media Comunità Eritrea. Nell’articolo si rimanda ad un episodio avvenuto nel 2010 e precisamente all’offerta fatta a George Soros dall’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, di ospitare nello storico edificio delle Murate un centro di rifugio per “blogger perseguitati”. In pratica il futuro Premier italiano aveva cercato Soros per offrirgli un “regalo”. La capacità delle organizzazioni non governative come la OSF di influenzare e probabilmente condizionare le politiche governative costituisce un serio vulnus per i sistemi democratici che si trovano ad operare con direttive che non provengono dalla volontà collettiva. A conferma di questo, un documento della OSF rivelato dal sito DCleaks (analogo a Wikileaks) dichiara “affidabili” per le proprie politiche 226 deputati del Parlamento Europeo tra cui 14 italiani dei quali 13 appartenenti al PD, lo stesso partito collegato alla OSF. Il concetto di rappresentanza popolare si rivela così, in un panorama in cui la politica ha abiurato al suo ruolo decisionale e amministrativo, un guscio vuoto che di fatto lascia il posto ad una rappresentanza di enti sovranazionali in grado di agire con capitali immensi (sempre nel dicembre 2017 Soros trasferisce 18 miliardi di dollari personali nelle casse della OSF) per imporre delle direttive funzionali ad interessi terzi.
Brano tratto integralmente dal libro “L’ULTIMO UOMO” di Enzo Pennetta.