DI Roberto Pecchioli
Identità, comunità e amor di Patria al tempo del mondialismo apolide
Il futuro appartiene a chi possiede una storia e riesce a raccontarla. Ma una storia, per essere tale, non è mai un parto individuale: è sempre la narrazione di un “Noi” che incarna un’origine, un percorso e un destino. La nostra Italia, nonostante tutto, ha ancora una storia da raccontare: sono i mille tasselli di una Civiltà profonda, che affonda le radici nel genio dei nostri antenati e nell’orizzonte dei nostri figli. Questo patrimonio perenne – di fatto – rappresenta la nostra Tradizione, colonna portante di quella comunità organica che popola la nostra Patria.
La post-modernità – liquida e apolide – ha scelto di annegare le differenze nel calderone multiculturale dell’uniforme, rimodellando il pianeta sullo schema omologante della cosmopoli globale: dal livellamento dei popoli alla distruzione del sacro; dal superamento dei confini alle migrazioni di massa; dalla sovversione degli equilibri sociali al capitalismo della sorveglianza; dalla mistica dei diritti soggettivi alla religione del progresso; dalla demolizione degli Stati sovrani alla tirannia degli apparati burocratici; dallo strapotere delle élite finanziarie all’egemonia dei colossi digitali. Il rullo compressore del mondialismo – votato all’affermazione di una “società aperta” senza volto – sta travolgendo ogni espressione specifica in nome di una globalizzazione che è delle merci e del linguaggio, ma anche dei corpi e delle anime.
La nostra Italia è in via di estinzione: afflitta dalla denatalità, invasa da esodi biblici, umiliata dai meccanismi sovranazionali, smembrata da svendite e privatizzazioni, ferita da mafie e corruzione, comprata all’asta da predoni e speculatori stranieri; un Paese stanco e sottomesso, che esporta cervelli ed importa guai, nella totale indifferenza di una classe politica dalle inclinazioni esterofile ed anti-nazionali.
Sull’orlo del baratro, allora, occorre reagire: è necessario riaffermare la vitale armonia delle nostre radici e della nostra identità, dei nostri retaggi e dei nostri princìpi, dei nostri riti e dei nostri miti. Occorre un sincero elogio dell’appartenenza, che riaccenda l’idem sentire di un popolo che ha bisogno di tornare sovrano, ritessendo la trama del proprio spirito nazionale. Perché una Patria, anzitutto, resta integra quando si salvano i suoi valori e la sua capacità di trasmetterli.
Questo saggio, scritto sotto forma di “Lettera ad un ragazzo della classe 2020”, è un affascinante viaggio attorno ai concetti di appartenenza e di comunità, attraverso le mille tracce di una cultura libera e dissidente. “Amo il mio Paese perché è mio”, si diceva un tempo: ciò che abito, condivido e riconosco – dunque – rappresenta il mio orizzonte di senso. Queste pagine, coraggiose e controcorrente, porgono al lettore il testimone di un’esortazione vitale: “Diventa ciò che sei”.
(Dal Web)